L’omicidio di Daniela Roveri a Bergamo: un mistero senza nessuna risposta, tutte le ipotesi e l’ombra del serial killer.
Il 20 dicembre 2016, Bergamo viene scossa da un omicidio che ancora oggi rimane senza una spiegazione. Daniela Roveri, una donna di 48 anni, dirigente di un’azienda a San Paolo d’Argon, viene brutalmente uccisa nell’androne del suo condominio nel quartiere Colognola. A distanza di otto anni, il caso non ha ancora trovato un colpevole, nonostante le indagini approfondite e le diverse piste esplorate.
Quella sera, come tutte le altre, la donna ritorna a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Intorno alle 20, parcheggia la sua auto nel piazzale del palazzo al civico 11, e si dirige verso il portone per salire al quarto piano, dove vive con la madre, Silvana Arvati.
Ma non arriverà mai a casa: appena entra nell’androne del condominio, viene brutalmente aggredita da un assassino che la sorprende alle spalle. Una coltellata netta e decisa alla gola, inferta con un coltello affilato, le recide la carotide, senza darle alcuna possibilità di chiedere aiuto.
Pochi minuti dopo, un vicino trova il corpo riverso a terra e allerta i soccorsi. La madre di Daniela, preoccupata per il ritardo della figlia, scende le scale e si trova di fronte a una scena devastante: la figlia è morta. Sul posto giungono ambulanza e forze dell’ordine, inclusi alcuni agenti che stavano presidiando l’area dello stadio per la partita Atalanta-Empoli.
Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Davide Palmieri, partono subito alla ricerca di tracce di DNA che possano aiutare a risolvere il caso. Vengono trovate due tracce genetiche sulla vittima: una sulla sua guancia destra e l’altra sotto le sue unghie. Nonostante queste prove, gli investigatori non riescono a risalire al colpevole. Un altro elemento cruciale è la borsetta della vittima, portata via dall’assassino. All’interno c’erano il suo cellulare, un iPhone 6, e altri oggetti personali.
Ma la borsetta non è mai stata ritrovata, alimentando l’ipotesi che il furto fosse un tentativo di depistaggio piuttosto che un movente economico. Le telecamere di sorveglianza nei dintorni non forniscono alcun elemento utile, e nessuno dei vicini sembra aver visto o sentito nulla di sospetto quella sera. Le indagini si concentrano allora sulla vita privata della vittima.
Daniela, donna riservata e senza particolari passioni se non i viaggi con la nipote e l’abitudine di frequentare una palestra, sembra non avere nemici. Le indagini si focalizzano su alcune persone a lei vicine: un personal trainer con cui aveva stretto una certa confidenza e uno spasimante con cui però non aveva mai avuto una relazione. Entrambi vengono esclusi dalle indagini grazie agli alibi forniti.
Si esplora anche l’ambito professionale della vittima. Daniela lavorava da circa vent’anni come responsabile della contabilità per la Icra Spa di San Paolo d’Argon, ma anche in questo caso non emerge nulla che possa giustificare un omicidio legato a motivi lavorativi.
Dopo alcuni mesi, gli investigatori prendono in considerazione l’ipotesi di un serial killer. A pochi chilometri da Bergamo, a Seriate, quattro mesi prima, un altro omicidio simile era stato commesso: la vittima, Gianna Del Gaudio, ex insegnante, era stata uccisa con una coltellata alla gola nella propria abitazione. La somiglianza tra i due delitti porta gli investigatori ad analizzare la traccia di DNA trovata sulla guancia di Daniela Roveri, cercando una compatibilità con quella rinvenuta su un cutter usato a Seriate.
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